Normali si diventa. Purtroppo. Su “Tombini in fuga” di Francesco Ceccamea

Il romanzo di cui sto per scrivere mi ha fatto molto riflettere, non tanto sui suoi contenuti ma sul mio modo di intendere la letteratura, su quello di tutti gli altri che scrivono di libri, su cosa cerco da un libro, quanto conta lo stile e quanto invece la storia, cosa rende un libro letteratura.

E ancora: ci sono percentuali di riferimento per stabilire se un libro è valido nonostante non ci convinca al 100%, ma solo al 50% o al 30%?

E se contiene una ventina di pagine bellissime rispetto al resto, poco più che passabile, come giudicarlo? E vale la pena parlarne?

Non ho ancora tutte le risposte ma intanto mi va di scriverne, e lascio a chi legge l’ardua sentenza.

Francesco Ceccamea ha pubblicato di recente per un piccolo editore (Davide Ghaleb ), “Tombini in fuga“, una sorta di romanzo di formazione, con un protagonista più cresciuto di quelli solitamente ritratti nel classico bildungsroman, in cui racconta le vicende tragicomiche di un giovane trentenne qualunque alle prese con la vita, l’amore, l’indipendenza dalla famiglia d’origine, il lavoro, la ricerca di una casa, la difficoltà di avere una solidità economica, il dolore di affrontare all’improvviso la mortalità dei propri genitori; e poi uno dopo l’altro, il terrore per il figlio in arrivo, i disagi che un neonato procura e l’infinito amore che per lui si prova.

Se non fosse che uno dei lavori che il protagonista svolge è quello di becchino, con tanto di aneddoti sulle varie morti nel piccolo paese in cui vive e relativi preparativi per i funerali, Ceccamea, nonostante una scrittura nitida, pulita, alcune trovate divertenti e acute, una bella capacità di descrivere luoghi e persone e un ritmo costante che sostiene anche le parti meno interessanti (cosa che non si può dire di moltissimi scrittori più noti e considerati) non fa un grande sforzo di fantasia per raccontare la sua storia, attinge fortemente alla sua autobiografia – come ha fatto nel suo libro precedente, “Silenzi vietati”, uscito 10 anni fa per Gaffi Editore, che gli ha procurato grande notorietà e addirittura tra gli altri, un servizio di quasi 10 pagine su Novella2000 – e descrive un giovane uomo come tanti, alle prese con i problemi di tutti coloro che non nascono blasonati, nell’arco di tre anni vita, fino alla soglia dei biblici 33.

La parte iniziale del romanzo soprattutto, soffre di tutti quegli episodi legati ai funerali che un buon editor avrebbe potuto tagliare sapientemente; ma le ultime venti pagine del libro, in cui il ritmo cambia passo, seguendo il vortice dei pensieri del protagonista, il mix dei suoi sentimenti contrastanti, le immagini che si susseguono una dopo l’altro nel suo dialogo con il lettore, le riflessioni amare sulla vita, la morte, le relazioni, forse valgono da sole tutto il libro, si alzano oltre la media della narrativa e restituiscono dignità letteraria non solo al testo, ma alle vite senza gloria né epica di quelli che sbarcano il lunario senza essere sull’orlo del fallimento, a chi ha una casa decente ma non bellissima né da servizi sociali, a chi lotta per tenere in piedi un matrimonio stanco, in cui il fatto che l’amore ci sia ancora o meno è l’ultimo dei problemi; a chi finge che tutto vada bene perché in fondo va bene davvero, e se si consentisse di esprimere quello che prova sembrerebbe ingrato o pazzo, e allora tace mentre dentro di se impazzisce comunque ogni giorno di più, perché forse è vero che, come dice a un certo punto sul finale il protagonista, ”la normalità è un’eccezione”, ed è faticosa e si finisce per sopravvivere, rinunciando a vivere davvero.

Ma fortunatamente per lui c’è sua figlia che gli parla dei tombini in fuga e ogni cosa torna al suo posto.

Almeno fino al giorno dopo.

Share

Leave a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.