Acqua e sale, mi fai bere

Acqua di mare è un romanzo di formazione senza dubbio, ma ogni etichetta è poco utile a renderne gli aspetti più notevoli: la levità della scrittura, la precisione della parola, la perfezione di una struttura narrativa che non mostra mai cedimenti o sbavature. Solo nel modo e con le parole in cui Simmons l’ha scritta (rese alla perfezione dalla traduzione di Massimo Bocchiola), poteva essere raccontata questa storia.

Il libro inizia dalla fine, o meglio, l’incipit fulminante contiene tutta la storia: «Nell’estate del 1963 io mi innamorai e mio padre morì annegato». Simmons dice subito che è una storia d’amore e di morte che ha per protagonista un ragazzino che probabilmente sta per vivere l’ultima estate spensierata della sua vita, ci da tutte le indicazioni per immaginare gli sviluppi della trama e prefigurarci il finale; eppure, mentre leggevo il libro, e le sue descrizioni brevi e precise, i dialoghi brillanti e di tanto in tanto rivelatori, vedevo sfilare davanti a me quei personaggi – tutti, anche quelli secondari – descritti così bene attraverso gli occhi degli altri protagonisti, tanto da riuscire a immaginarli in ogni dettaglio, mi addentravo così profondamente nella storia e partecipavo tanto visceralmente alle vicende che Simmos racconta, da dimenticarmi quello che avevo appreso sin dalle prime righe e alla fine mi sono persino stupita e ho un po’ sofferto per il drammatico epilogo della vicenda. La trama ha poca importanza: durante un’estate in un’isola dell’atlantico un ragazzino s’innamora, per la prima volta, di una bellissima straniera più grande di lui di qualche anno e scopre che lei invece è presa da qualcun altro; alla fine il padre del protagonista muore cadendo fuori dalla barca su cui hanno trascorso gran parte del loro tempo insieme (ci sono poi un altro paio di elementi che però taccio per non rovinarvi la lettura).

Anche l’ambientazione, ad eccezione della presenza costante del mare, è del tutto ininfluente ai fini della storia, tanto che Simmons ha scritto questo libro a sessant’anni suonati nel 1998, ambientandolo però nel ’63, ma potrebbe benissimo essere stato scritto nell’800, come Primo amore di Turgenev, o essere ambientato ai giorni nostri: cambierebbe poco, perché a rendere questo romanzo così straordinario, è la maestria dell’autore, la sua capacità di racchiudere il dramma in poche pagine e di farlo esplodere senza deflagrazione, come una bomba sotto la superficie di quell’acqua di mare che s’increspa leggermente e poi s’innalza per ricadere infine placida su se stessa e continuare a scorrere; è la sensazione agrodolce che si prova sfogliando le pagine, la malinconia per un amore non corrisposto e per un altro, forse più grande, quello del protagonista per il padre, che viene messo a dura prova fino all’epilogo definitivo che lo cristallizzerà per sempre («ora io sono più vecchio di papà quando annegò. Non so perché mi sento ancora un bambino»); è il sapore di salato sulle labbra e sulla pelle che Simmons riesce a rievocare alla perfezione, e del quale non si riesce a distinguere la provenienza: se l’acqua di mare o le lacrime.

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