Arrivederci, a ieri sera

Qualcuno che conoscevo anni fa, che conoscevo da anni, e che avevo perso di vista, si è affacciato di nuovo dalle mie parti, ed è stato come riprendere un discorso interrotto il giorno prima.

E questo mi ha fatto riflettere sul fatto che per essere una che odia gli addii, negli ultimi anni ho lasciato andare molte persone e cose che affollavano la mia vita. Un giorno semplicemente, o meglio in più giorni, ma non molti eh, senza pensarci su e quasi senza accorgermene, ho tralasciato di rispondere a mail o messaggi, di cercare questa o quella persona, di fare cose che ormai erano familiari, di sbattermi per mantenere in piedi relazioni o incarichi, ma anche passioni, che indipendentemente dal loro effettivo valore per me, in quel certo momento mi sembrava che non mi facessero stare bene.

Ma in questo universale repulisti è finito dentro di tutto, anche roba bella, persone interessanti, mentre la vita continuava a scorrere un po’ più leggera, ma solo perché è meno densa. Finché un giorno, di botto, capita di rincontrare qualcuno per caso, come un bigliettino scritto a mano in un vecchio libro: subito non ti ricordi cos’è e perché è in quelle pagine, ma appena inizi a leggerlo torna tutto a galla, e il calore del passato ti assale con tutto il suo carico emotivo.

E così si conferma il fatto che io odi gli addii, ma non significa che voglio tenere tutto e tutti, solo che voglio saperlo quando lascio qualcuno o qualcosa o un posto, voglio deciderlo scientemente. E come Holden Caufield anche io “ho lasciato scuole e posti senza nemmeno sapere che li stavo lasciando. È una cosa che odio. Che l’addio sia triste o brutto non me ne importa niente, ma quando lascio un posto mi piace saperlo, che lo sto lasciando. Se no, ti senti ancora peggio.”(Il giovane Holden, J. D. Salinger)

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