Una questione di forma

Acquisto la metà dei miei libri sulle bancarelle dell’usato perché sono dell’idea che a volte sia preferibile la quantità alla qualità, e con qualità intendo quella delle edizioni. Di solito quindi non bado allo stato del libro, basta che sia leggibile, né alla casa editrice, soprattutto perché parte dei volumi in vendita nell’usato appartengono a quelli abbinati ai quotidiani, i quali non sempre brillano per l’accuratezza e l’attenzione alla confezione. Ma Who cares?

Questo discorso non è valido naturalmente per le traduzioni, perché se ad un prezzo inferiore del libro corrisponde una scadente traduzione del testo, rinuncio all’affare.* Quando acquisto un libro se nuovo mi aspetto però che l’edizione sia curata, e che la confezione ne riveli almeno in parte il contenuto o al contrario che sia così anonima e neutrale da non poter ingannare in alcun senso il lettore: eccellente in questo senso è la copertina de Il giovane Holden di Jerome D. Salinger dell’Einaudi, che per inciso considero la più bella copertina mai pubblicata, con quel riquadro nero su sfondo bianco, quasi metafisico. De gustibus….. 

E’ una questione di rispetto verso il lettore curare ogni aspetto dei volumi pubblicati (sulla questione vi rimando qui e qui), anche perché sempre più spesso le quarte non dicono davvero nulla di interessante sul libro che introducono. In proposito se ci fosse un premio per la copertina più sbagliata, lo vincerebbe sicuramente quella della prima edizione italiana del romanzo d’esordio di Donna Tartt, Dio di illusioni, pubblicato nella collana economica Superbur. Il geniale curatore editoriale del romanzo ha utilizzato una foto da libro Harmony per un romanzo che racconta una storia gotica ed oscura. Mi sono rifiutata per mesi di leggerlo per colpa di quella copertina che mi richiamava alla mente i romanzi di Maria Venturi o Sveva Casati Modigliani, e avrei commesso un grosso errore perché “Dio di illusioni” è un ottimo libro con una trama avvincente e ben gestita che trasforma quello che all’inizio sembra un romanzo di formazione in un thriller da mozzare il fiato.

A volte l’abito rischia di fare il monaco.

* Il problema delle traduzioni non riguarda comunque solo le edizioni poco curate, un caso emblematico è la traduzione de “Il lungo addio” di Raymond Chandler. L’ho letto la prima volta in un’edizione degli anni ’50 con la splendida traduzione di Attilio Veraldi e l’ho poi comprato per averne una mia copia nell’edizione Feltrinelli tradotta da Bruno Oddera: con la seconda edizione ho avuto spesso la sensazione di leggere due romanzi diversi, come se Marlowe avesse un gemello più tenero, delicato e quindi meno forte dal punto narrativo rispetto a quello di Veraldi. Così adesso ogni volta che mi va di rileggere Il lungo addio devo chiedere in prestito al mio bibliofilo di fiducia la sua copia, peraltro molto malandata. Per capire leggere qui 

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10 Comments

  1. Beh si hanno indubbie attrattive 😉 sebbene io sia legata alle vecchie edizioni che scovi tra pile di manuali polverosi e romanzi illegibili, mi piace l’idea della scoperta inattesa.

  2. concordo sul giudizio della copertina del giovane Holden. Concordo anche sul fatto che certe copertine siano un’offesa al buon gusto e costituiscano una vera violenza per i libri. Adoro trascorrere ore sulle bancarelle dei reminders. Talvolta si riecono a trovare quelle bellissime edizioni einaudi , gli struzzi, mi sembra, con la copertina rivestita in tela azzurrina. Oppure i classici della B.U.R., verdi per letteratura italiana, grigi per quella tedesca…Ottime traduzioni otretutto.

  3. Grazie per essere tornata a visitare il blog e ad interessarti di me. No, non l’ho ancora letto “Full of life”, ma sai perchè? Perchè come ti dicevo (se ricordi) mi era venuto un improvviso stimolo a leggere di più – e qui le tue recensioni hanno avuto un ruolo determinante – così mi sono buttato su quanto avevo a più portata di mano. Ho quindi letto un po’ di Bukowsky, racconti di Edgar Allan Poe, un libro/intervista di Giovanni Falcone, una biografia di Kurt Cobain (riletta, in realtà) ed ora sono alle prese con un tomo di un migliaio di pagine su Mani Pulite. Domani parto per le ferie, che, ahimè, saranno un po’ sottotono. In compenso, avrò tempo per leggere: Full of life rimane nel mio “palinsesto”.
    Ciao e grazie ancora.

  4. Per quanto riguarda il problema delle traduzioni “scadenti”, fare riferimento alla traduzione di Bruno Oddera de “Il lungo addio” di Raymond Chandler mi sembra quanto meno insultante. Soprattutto se a essere messa in discussione è una diversa sensibilità nei confronti dello stesso testo da parte di due traduttori diversi. Per poter emettere un giudizio fondato sull’atmosfera di una traduzione, e capire se rispecchi o meno (per quanto difficile sia giudicare un aspetto tanto soggettivo) le intenzioni, il registro, semplicemente il linguaggio dell’autore, sarebbe quanto meno necessario leggere il testo in versione originale: chi può dire altrimenti se sia più vicina alla sensibilità di Chandler la traduzione di Veraldi piuttosto che quella di Oddera? Quindi, qui, il problema diventa un altro: una traduzione può essere più vicina alla sensibilità del LETTORE rispetto a un altra, e di conseguenza essere più apprezzata. Ma a questo punto si tratta di gusti personali, non di scarsa abilità del traduttore. La puntualizzazione mi sembra doverosa, se si chiama in causa uno dei più apprezzati traduttori del secolo scorso.

    Anna Lia Quattroccolo

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