Ne uccide più la penna

Il giorno della civetta nell’edizione che qualche anno fa è stata allegata al “Corriere della Sera” e pagina dopo pagina ho ritrovato intatto lo stupore per un romanzo breve quanto denso, lucido ed appassionato, in cui Leonardo Sciascia offre una prova ulteriore del suo profondo senso dell’economia della storia, grande capacità d’evocazione di un mondo e di un’idea. Mentre racconta la Sicilia, e l’intreccio malato tra mafia, società e politica, descrive l’Italia intera, utilizzando la sua terra come metafora, come sintesi del mondo, per dirla con Shakespeare.
A distanza di anni la percezione della sua grandezza è rimasta immutata in me. Niente di nuovo dunque. A colpire la mia attenzione è stata invece, la prefazione a questa edizione del romanzo, curata da Francesco Merlo. Merlo, noto editorialista del “Corriere”, introducendo quest’edizione del romanzo, fa riferimento alla polemica che proprio dalle pagine del suo giornale ha contrapposto anni fa, Leonardo Sciascia ad alcuni intellettuali e politici che implicitamente e subdolamente finivano per accusarlo di connivenza con la mafia – che pure lui ha per primo denunciato nei suoi libri – a causa di alcune affermazioni, contenute in un suo intervento del 10 gennaio 1987, ancora sul “Corriere”, riguardanti il rischio di degenerazione delle politiche adottate dai nuclei antimafia (formate da quelli che ne Il giorno della civetta definisce Bargelli, cani): “I lettori, comunque, prendano atto che nulla vale di più, in Sicilia, per far carriera nella magistratura, del prender parte a processi di stampo mafioso”.
Un modo per svegliare le coscienze, sottolineare il problema di carriere affidate soprattutto alla bandiera dell’antimafia. Una provocazione forse, troppo forte, un po’ avventata, imprecisa (soprattutto nel riferimento a Paolo Borsellino), violenta anche, ma resta il fatto che il capitano Bellodi ideato da Sciascia, è epigono (e archetipo allo stesso tempo) di ogni uomo che ha lottato contro la mafia e non si può sostenere che in ognuna delle sue parole, Sciascia suggerisca un sentimento diverso da una vibrante denuncia.
Giorgio Bocca nel suo articolo sul corriere del 1987, racconta di un incontro con lo scrittore in un caffè, in un giorno d’estate e sottolinea sprezzante di come parlasse della mafia come se ne avesse una conoscenza intima, come se ne conoscesse “esattamente il modo di pensare, di odiare, di sospettare, di agire”. Ebbene, Bocca pare ignorare che Leonardo Sciascia fosse siciliano: la Sicilia pervade i suoi scritti come uno sfondo imprescindibile, campeggia sempre nelle sue pagine in una dimensione che va dal presente al passato, storicizzandola nel tempo e mettendo in evidenza quell’immobilismo secolare contro il quale non sembra esserci soluzione. Conosce le bellezze, i segreti, i drammi e le meschinità di quest’isola martoriata dalla storia e celebrata dalla cultura e dall’arte. 
In un articolo per il Corriere della Sera del 19 settembre 1982 – che si può leggere nella raccoltaA futura memoria (Bompiani) – Sciascia scrive: “Non c’è nulla che mi infastidisca quanto l’essere considerato un esperto di mafia o, come oggi si usa dire, un “mafiologo”. Sono semplicemente uno che è nato, è vissuto e vive in una paese della Sicilia occidentale e ha sempre cercato di capire la realtà che lo circonda, gli avvenimenti, le persone. Sono un esperto di mafia così come lo sono in fatto di agricoltura, di emigrazione, di tradizioni popolari, di zolfara; a livello delle cose viste e sentite, delle cose vissute e in parte sofferte” (p.41). Sciascia era un siciliano ed era uno scrittore e scriveva di ciò che vedeva e sentiva. E quindi Sciascia sa la mafia. Bocca conclude il suo delirio scrivendo “solo la mafia conosce se stessa”. Sciascia conosce la mafia, certo, ma la conosce come ogni siciliano. Se vivi in Sicilia, la respiri ogni giorno, la senti come il sole che brucia la pelle, ne avverti la presenza come il sale mischiato alla polvere. Se nasci in Sicilia impari a vederne i colori, più brillanti che altrove, ma anche le ombre. E’ un cancro la mafia, ma se non lo conosci come fai a combatterlo? Se non ne penetri i meccanismi come puoi aborrirla? Se non ne senti l’influenza come puoi denunciarla?
Alla morte di Leonardo Sciascia un altro scrittore siciliano gli rende omaggio scrivendo: “La morte ha vinto sull’uomo, ma l’uomo ha vinto sul mistero” Gesualdo Bufalino.
 
 

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