Più reality del reale

Non ne posso più di questa overdose di realtà. Ormai in tv c’è un reality per tutti i gusti e le occasioni (l’occasione è più per chi ci va, sbattendosi tra letame e ragni velenosi, che per i telespettatori, s’intende). Ultimamente c’è tutta questa letteratura che si pone come obiettivo di raccontare la vita di tutti i giorni – mi viene in mente l’ultimo racconto dell’antologia Mosca più balena di Valeria Parrella, Il passaggio, una vera rottura di scatole. Ma è solo un esempio, non è che qui voglio mettermi a discutere della Parrella, che tra l’altro dalla foto in quarta di copertina mi pare anche una brava ragazza. Il punto è che sembra che nell’idea di raccontare la realtà ci sia un qualche merito, o che sia – peggio ancora – una missione: ma chi gliel’ha chiesto? Realtà, realtà, realtà. E non è una cosa che si ferma alla letteratura. Tanto per dire: ti capita di andare al cinema, a vedere The Company di Robert Altman: e ti ritrovi a guardare un documentario, un interminabile documentario, sulla vita di una compagnia di danza che si snocciola davanti ai tuoi occhi secondo lo stesso metodo, freddo e scientifico, utilizzato dai registi del National Geographic, per introdurci all’affascinante mondo dell’escherichia coli. Realtà, nient’altro. (Peraltro la frequenza con cui si susseguono gli estenuanti balletti, uno ogni due minuti, intervallati unicamente da discorsi sugli stessi, sfida la capacità di resistenza di un essere umano, anche se in eccellenti condizione psicofisiche.)

L’Uomo Schizoide del Ventunesimo Secolo è davvero così ossessionato dalla contingenza del reale da non riuscire a distaccarsene nemmeno nell’atto creativo? E la capacità di stupire? Di cercare il meraviglioso? La letteratura, il cinema, il teatro, la televisione non sono anzitutto forme di intrattenimento, e quindi di evasione dalla realtà? Proprio da quella realtà che invece oggi ci viene ostinatamente riproposta.

Share

11 Comments

  1. Anch’io sono stufo dell’estetica della realtà, se la vogliamo chiamare così.

    E anch’io, se avessi dovuto cercare un esempio, l’avrei trovato nella Parrella.

    Purtroppo in Italia (non in Europa, in Italia), il sogno di per sé è visto male, osteggiato, inibito dall’abbraccio mortale tra realismo e materialismo (stavo per aggiungere sindacalismo ma te l’ho risparmiato… :-))

    Il giovane letterato ha genitori, parenti, amici che lo deridono a sangue se scrive qualcosa di campato in aria, sui sentimenti, alla Amelìe, per dire. O alla Millions, film britannico di qualche mese fa.

    Al realismo riconosco, però, un lato positivo, che vedo in film come United 93 di Greengrass, uscito da poco. Finalmente mi è sembrato di “vedere”, di “sentire” davvero quello che è successo a chi era lì l’11 settembre.

  2. Che intendi con sindacalismo?

    Devo dire però che rileggendolo a distanza di anni questo post è un po’ ingenuo e poco filologico: mi rendo conto adesso che il problema non è tanto la realtà quanto la capacità di raccontarla mantenendo ferma la capacità di narrare e non di riprodurre fedelmente. Oggi in treno ho letto un vecchio romanzo di Castellaneta, Viaggio col padre, la critica all’epoca ha parlato di neo-realismo. La scrittura è vivida e i fatti sono tangibili, c’è la guerra, le posizioni sbagliate, le meschinità, le vigliaccherie, gli atti di eroismo. Senti le bombe e la paura, eppure tutto è filtrato dallo sguardo del narratore che non descrive, racconta e quindi finge. Che è la meraviglia della letteratura.

    Mi sono accorta che ero anche meno impietosa con la Parrella, dopo ho scritto cose più forti contro di lei 🙂

    Ma ti stai leggendo la mia opera omnia? Sono emozionata 😉

  3. Macché opera omnia, sto andando rigorosamente a casaccio, seguendo l’interesse che mi suscitano i titoli.

    🙂

    Per sindacalista intendo l’ideologia che purtroppo sorregge tanti racconti: il pensiero materialista che la tragedia moderna sia da interpretare e da mostrare a partire da considerazioni essenzialmente economiche e sociologiche, e non mitico-simboliche. Ma questo è un discorso gigante, da libro più che da post.

    Sul raccontare la realtà, anche la mia posizione è sbilanciata sul raccontare piuttosto che sulla realtà.

    Questo fine settimana, in assenza della mia ragazza mi sono chiuso nel fornetto della mia casa a leggere un libro cinese che si intitola Son Goku. E’ il libro da cui hanno tratto Dragon Ball (tanto per non sbagliare, un altro cartone animato…). Basta dire che racconta le avventure di uno scimmiotto sacro nato da una roccia: a ogni pagina una magia, come godevo!

    Poi già che c’ero ho letto anche una raccolta di testi di Mario Sironi e un libello di Filippo Facci, “Poveri ma ricchi”, che mi ha insegnato molto sulla politica.

  4. Acc, m’ero gasata! 🙂

    Dragon ball! Mitico! Davo lezione ad un ragazzo che aveva la collezione completa di gadgets e pupazzi di Db, un paio di volte invece di studiare ci siamo messi a giocare e a dipingere le miniature.

    Sul sindacalismo e il movente economico della letteratura e dell’arte ci sono alcune parole di Bradbury a sintetizzare il mio pensiero e infatti le cito spesso perché poche frasi hanno colto così perfettamente l’essenza della letteratura e del raccontare: “noi scrittori, fondamentalmente, non siamo molto diversi dai bardi dei tempi omerici, che giravano per il mondo e, trovato un accampamento di uomini in armi, dicevano: Se mi riempite la coppa di vino e mi offrite un piatto di carne, vi racconterò una storia su una vergine e un toro che sono sicuro vi stupirà”.

    Io non ho letto quasi nulla nel finesettimana, l’ho trascorso alla ricerca disperata di un paio di scarpe da abbinare all’abito da sera per un matrimonio sabato. Non mi sentivo così male e depressa dai tempi della maturità. 🙂

  5. Io ho conosciuto Dragon Ball perché un ragazzo che faceva servizio civile con me era appassionato e mi ha attaccato l’interesse. Mi è bastato vedere un paio di puntate per capire che sotto c’era qualcosa di bello, ma poi l’ho mollato lì perché era a orari impossibili, nel pomeriggio (!).

    Il tipo si chiamava Ciccarelli. Forse Francesco. Era un tipo strano, alto, carino abbastanza da attirare le volontarie della croce rossa, drogatissimo, molto pratico ma con qualche attitudine per la riflessione. Infatti io sono diventato il suo filosofo e lui è entrato di diritto nel mio Olimpo personale da cui attingerò i miei personaggi.

    Sul bardo omerico firmo e controfirmo col sangue.

    Sulle scarpe… e son problemi anche quelli! 🙂

    vincenzillo (sloggato)

  6. fa sempre bene avere un amico con una vita interessante se si vuole scrivere romanzi 🙂

    Per le scarpe, ho risolto .-)

    Se dovessi leggere Origine scoprirersti una cosa pazzesca, in un pezzo curato da me sugli esordi letterari dell’ultimo anno, cito una tua recensione sul Giornale e me ne sono resa conto solo da poco che eri tu! Quando ci siamo scritti da Serino non me lo sono ricordato anche perché il pezzo è di un po’ di tempo fa e perché non avevo collegato i due nomi. E’ la teoria del caos! .-)

  7. Nella prefazione a ‘La linea d’ombra’ Conrad negava qualsiasi interesse per il mondo “preternaturale” , come alcuni critici avevano insinuato. Avvalorare questa tesi significava insomma per Conrad privare la realtà di qualsiasi meraviglia e stupore. Diceva: “il mondo dei vivi, qual’è, non è certo privo di meraviglie e stupore”.
    Dunque post non condiviso (ma condivido la tua rilettura a distanza di qualche anno), molto divertente però leggerlo 🙂
    Sto andando a rebours coi tuoi post… 😉

Leave a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.