In pessime mani / Di uomini e di topi

E’ il tempo dei furfanti.

Una definizione secondo me perfetta per questi mesi in cui il nostro Paese si avvia velocemente verso il baratro: definizione che viene da lontano – da un libro del 1976, “Scoundrel Time” di Lillian Hellmann, pubblicato da Adelphi in un volume unico con “Pentimento” e tradotto da Silvia Giacomoni.

Ho iniziato a leggerlo solo da pochi giorni, in un momento in cui il nostro governo ha deciso di lasciare più di 100 migranti stremati, vittime di stupri e torture, a marcire su una nave della nostra stessa flotta, impegnandosi in un braccio di ferro con l’Europa apertamente illegale e in odore di denuncia per sequestro di persona, che serve solo a far aumentare il consenso del Ministro dell’Interno e sviare l’attenzione dalla palese incapacità di risolvere i problemi veri e urgenti del Paese. Ed è questa la cosa peggiore: la maggioranza degli italiani sta con questo individuo senza scrupoli e coi i suoi accoliti; siamo un Paese di furfanti.

Non è solo il titolo del testo a richiamare alla mente quel che stiamo vivendo: ci sono interi passi della Hellmann in cui descrive i “furfanti” della sua epoca, ossia i membri della commissione per le attività anti-americane presieduta dal famigerato Senatore McCarthy, in cui sembra parlare di noi, della nostra nazione, delle debolezze e meschinità di chi ci governa.

compagno della vita, che per non denunciare nessuno alla commissione e nonostante non avesse nomi da indicare, si fa arrestare «per non permettere alla polizia come ai giudici di dargli una lezione di democrazia».

E ancora: «I senatori McCarthy e McCarran, i deputati Nixon, Warren e Wood erano tutti quanti quello che erano: gente che inventava quando era necessario, e che diffamava quando non era necessario. Penso che non credessero né poco né molto in quello che dicevano: i tempi, in America, erano maturi per un nuovo corso, e loro afferrarono l’occasione politica di guidarlo secondo le occasioni che si presentavano giorno per giorno, servendosi per colpire di qualunque cosa e di chiunque gli capitasse a tiro. Ma il nuovo corso non era poi tanto nuovo. […] Non era la prima volta nella storia che lo smarrimento della brava gente, veniva sfruttato al momento giusto da volgari mestatori, capaci di imbastire su un ritornello popolare un’opera di sconcerto pubblico, messa in scena e cantata, come dimostrano tante testimonianze rese al Congresso, nelle corsie di un ospedale psichiatrico. Per confondente gli ignoranti ci vuole sempre un tema, chiaro, semplice, disadorno. Tirar fuori dal mazzo il tema dell’anticomunismo fu facile, e non soltanto perché il socialismo ci faceva paura, ma soprattutto perché, credo, serviva a distruggere quello che restava di Roosevelt e della sua opera non di rado progressista».

Non riconoscete lo schema? Anticomunismo, antisemitismo, razzismo… ogni furfante del suo tempo sventola il suo spauracchio e la gente povera di spirito lo segue perché ha bisogno di un colpevole.

Ma l’analisi lucida e precisa di Hellmann si spinge oltre: laddove Hitler, nella sua crudeltà e follia, credeva veramente che gli ebrei fossero il male da distruggere, il senatore McCarhty viene descritto con una tipica aria di mondana malignità, come a deridere chi lo prendeva sul serio. E anche il futuro presidente Nixon non dava l’idea di essere uno convinto che ci fossero chissà quali ideali da difendere. Hellman mostra quegli squallidi personaggi rendendo alla perfezione quale idiozia e quale malafede si nascondessero sotto l’apparente buonsenso di quelle condotte. Notevole la foto che campeggia prima dell’inizio del testo in cui vengono ritratti i membri della commissione del senatore McCarthy come se fossero dei gangster, dei veri furfanti da quattro soldi.

Come Salvini oggi qui da noi, questa gente ha giocato con la vita e la morte di innocenti, e con le libertà costituzionali e i principi della democrazia, calpestandoli come foglie morte, solo per opportunismo politico, per il consenso, per cavalcare l’ottusa mentalità di elettori privi di spirito critico, il cui voto purtroppo conta come quello di chi ha la testa per discernere quello che giusto da ciò che è terribilmente sbagliato.

Il libro di Lillian Hellmann continua con il racconto autobiografico della persecuzione maccartista che hanno subito lei e il suo amato Hammett, descrive quegli anni e le conseguenze di questo accanimento, i problemi economici, le delusioni personali, le rinunce lavorative e gli strascichi fisici e psichici che soprattutto Hammett si è portato dietro fino a morirne.

“Il tempo dei furfanti” va letto comunque a prescindere dalle analogie con l’attualità di questi giorni bui, ma resta un valore aggiunto, la capacità di analisi oggettiva e quasi universale di questa donna che ormai anziana e sola e amareggiata dalla perdita del suo grande amore vede così chiaramente nella storia e nell’animo degli uomini, furfanti e non.

Per chi come me è appassionato alla storia d’amore tra Hellmann e Hammett, e adora il personaggio di quest’uomo schivo, brusco, difficile ma capace di grandi ideali e di vivere seguendoli fino alla fine, consiglio di leggere anche  “Un unfinished woman”, in italiano pubblicato da “Editori riuniti”, per la traduzione di Paola Campioli, con il titolo “Una donna incompiuta”.

Il volume si chiude con tre ritratti: della domestica Helen, della scrittrice e amica Dorothy Parker, di Dashiell Hammett.
Il mio preferito è quest’ultimo, la storia di un amore difficile, fatto di tradimenti e sconfitte, segnato dai fumi dell’alcool.

A un certo punto Lillian Hellmann, o Lily come la chiamava Hammett, ormai sola, scrive una dichiarazione d’amore a modo loro, al suo Dash: «Ho sempre pensato e oggi so con certezza, che a un certo punto avrei potuto e forse dovuto scegliere un’altra strada, più sicura. Nelle domeniche d’inverno mi spiace di non averlo fatto. Il resto della settimana, penso che la vita ha operato come ha operato, e che sono stata fortunata».

Lei aveva trovato il suo, ma arriverà anche per noi il tempo dei galantuomini?

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