Workers do it better

Per quanto ami la letteratura e l’arte, una parte di me è fortemente legata alla precisione della matematica, perché 2+2 fa sempre 4 e nessuno può sottrarsi a questa legge predicando il soggettivismo o invocando la libertà di pensiero per seminare incertezza e disinformazione, spesso strumentali.

Per questo sono incredibilmente attratta dai dati e dalle cifre e prima di parlare di qualsiasi fenomeno, sociale, storico, culturale o anche solo letterario che sia, io mi documento e poi traggo le mie conclusioni. E si scoprono sempre delle cose interessanti.

Per esempio sto curando un’inchiesta sullo stato della narrativa per ragazzi nel nostro paese e insieme a qualche sorpresa (i bambini da 0 a 5 anni leggono più di ogni altra fascia d’età, e nel segmento di mercato riservato ai ragazzi – da 0 a 14 anni – sostengono da soli tutto l’indotto) e molte conferme (il tasso percentuale di lettori cala col crescere dell’età), ci si imbatte in cifre, che con l’argomento non c’entrano niente, a prima vista, ma che sollevano lo spirito perché permettono di togliersi più di qualche sassolino dalla scarpa.

Ho scoperto che le famiglie di operai destinano all’acquisto di libri, la stessa quota del budget familiare (0,67%) dei dirigenti e liberi professionisti e più di quanto facciano i lavoratori autonomi. Con buona pace di chi sostiene che chi proviene da una famiglia proletaria non ha facile accesso alla cultura o parte svantaggiato o non ha gli strumenti di base per farsi largo nel mondo, e di coloro che pensano addirittura, che per parlare di cultura agli operai, sia necessario usare parole o metodi diversi rispetto a quelli che si usano, chessò, per gli studenti universitari, per gli avvocati o per gli ingegneri, categorie notoriamente tutte molto colte o amanti della letteratura(!). In realtà l’attenzione verso i libri è minima in ogni fascia sociale, ma gli operai in qualche caso sono un po’ più accorti.

Tornando al discorso della narrativa per ragazzi, non è nemmeno vero che questo dato dell’AIE (Associazione Italiana Editori) relativo al 2006, non abbia implicazioni con la mia inchiesta. Infatti, gli esperti del settore dicono che un piccolo lettore resta tale se supportato dalla famiglia, se trova libri in casa, se è sollecitato a leggere e in questo, la spesa familiare destinata ai libri è fondamentale.

Dovrò ringraziare mio padre. O forse no, perché senza tutti quei soldi spesi per i libri, a quest’ora avrei un’auto che regge il minimo senza spegnersi!

Update: qui. Tanto sono in ferie fino a martedi e ho del tempo libero.

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51 Comments

  1. Le cifre servono sempre.
    Si sente parlare degli operai come una categoria compatta, come se allo stato odierno delle cose le possibilità non fossero (più o meno) aperte a tutti e come se la cultura (come la non cultura) non fosse qualcosa di trasversale.
    Sottoscrivo tutto, anche per la mia esperienza personale (dato che i libri in casa entrano con i soldi del padre carpentiere – anch’io ho un’auto che ha i suoi problemi, ma questa suppongo sia solo una coincidenza ;)).

  2. In genere ogni categorizzazione buttata lì apoditticamente è fuorivante e falsa e serve solo a portare acqua al mulino di chi la usa: hai ragione tu, chi sono gli operai? i meridionali? gli zingari? gli italiani? i romeni? gli americani? i comunisti?
    Solo gli esordienti fanno fronte comune 😉
    La mia auto va a gas e appena passo in seconda si pianta, ormai non mi fermo più agli stop, faccio cenno a tutti di scansarsi e poi chiudo gli occhi 🙂

  3. Hai ragione da vendere. Sono un avvocato, ed è proprio tra i miei colleghi (ma anche nelle file degli altri cd. “professionisti”, notai, magistrati, commercialisti ecc.) che ho conosciuto le persone in assoluto più rozze, incolte, ignoranti e allergiche alla lettura – per non parlare delle basi della grammatica italiana, questa sconosciuta. Complimenti per il tuo blog, che leggo spesso e con piacere.

  4. mannaggia.
    lavoro nell’ilva di taranto, avveleno di certo almeno statte, tamburi, massafra, san vito, lido azzurro e tramontone.
    a volte le mie impressioni sui libri che leggo combaciano con quelle di seia, a volte no. ho un inquadramento da operaio, ho contratto il virus della lettura in tenera età infettato da mio padre (buonanima) che era un vigile urbano. nella mia famiglia c’è solo un laureato (mia moglie) che, per puro spirito di sacrificio di famiglia, legge ciò che mi pubblicano.
    spendo una tirrupea di denari per acquistare libri che spero poi mi piacciano.
    c’è qualcosa di sbagliato?

    affettuosità

    g.

  5. dovresti considerare il valore assoluto e non la percentuale sul reddito altrimenti un notaio che guadagna mezzo milione l’anno e spende 1000 euro per libri (0,2%) ti sembrerà meno amante della cultura di un operaio che guadagna ventimila euro e per i libri ne spende 50 (0,25%).

  6. Valeria: il fatto è che di solito si pensa che basti una laurea o una posizione sociale a rendere le persone colte, o intelligenti o raffinate, non è così. Ma naturalmente ci sono avvocati, ingegneri, medici che sono profndamente amanti della cultura e della bellezza. Certo nemmeno questo rende le persone migliori, leggere un libro non è un valore aggiunto in assoluto. Io le persone più odiose le ho conosciute nell’ambiente letterario-editoriale, ma anche le più interessanti.

    giuse: niente di sbagliato, lo sai. anzi. tirrupea m’è piaciuto!

    d.: osservazione acuta, peccato che sia la stessa storia dei polli e delle persone che li mangiano. Le statistiche raccolgono dati e questi poi vanno interpretati e relativizzati, e infatti se consideriamo i budget, chi più può meno spende in llibri, dunque? E il mio discorso non era tanto elevare gli operai al rango di lettori sfegatati. ma contestare certe affermazioni che andavano nella direzione opposta con generalizzazioni infondante e inutili.

  7. seia, mi interessa molto la tua inchiesta sulla narrativa per ragazzi. quand’è che la finisci/pubblichi?

    sono anche d’accordo con quasi tutto ciò che dici in questo post, tranne una cosa importante: secondo me è vero che per parlare di cultura a un operaio devi usare parole e concetti diversi da quelli che usi per parlarne con uno studente universitario. Perché pensi di no? A me sembra un po’ ipocrita negarlo.
    Secondo me invece bisogna prendere atto che è così. E una volta che questa realtà è chiara, sarà forse possibile iniziare a spazzare via l’insopportabile snobismo della “cultura alta” di tante, troppe pagine culturali, senza però cadere nel male opposto, cioè nel disprezzo della cultura. Disprezzo che secondo me è funesto. Forse potrebbe aiutare anche il capire l’origine di questo disprezzo, ma qui partirebbe una lenzuolata che ti risparmio.
    Ti dico solo che, guarda caso :-), secondo me dovremmo focalizzare di più l’attenzione sul 68, quando tanti studenti universitari muniti di buona fede ma anche di altrettanta ideologia si illudevano di “educare” il proletariato alla rivoluzione, senza accorgersi che in realtà così facendo stavano solo scavando un solco incolmabile tra sé e il popolo. Solco che rimane ancora oggi. Come mi sembra dica anche tu, il vero discrimine non è tra operai e non operai (vecchio maledetto retaggio ideologico che non va ribaltato, bensì eliminato una buona volta), ma tra studenti universitari delle facoltà umanistiche (ormai in gran parte rovinati irrimediabilmente da snobismo ed elitarismo, paradossali figli del sessantotto), e tutto il resto del popolo, cui è necessario tornare a parlare e a raccontare. E lo ripeto, dico proprio “popolo”, non “operai”. Le due cose non coincidono.

  8. Vince: l’inchiesta esce non so bene quando – ma credo tra due settimane per due domeniche consecutive, se finisco la seconda parte 🙂 – , perchè è in due puntate, sulla pagina culturale del Corriere Nazionale diffuso in 70000 tutta l’Umbria, e poi Arezzo, Siena, Viterbo, Grosseto, mi pare difficile che tu riesca a procurartelo per cui ti manderò le pagine in pdf.

    Quanto al resto, io dico senza remora di smentita, proprio perchè non credo alle generalizzazioni per cui esistono gli operai, ma singoli individui che fanno gli operai, che non possono esserci due diversi modi di parlare di cultura, primo perché il livello medio della preparazione universitaria è pessimo e secondo che i casi della vita sono talmente i più disparati che fare l’operaio adesso attiene a tutta una serie di questioni, che ci trovi di tutto dentro le fabbriche.
    Per gli universitari purtroppo la generalizzazione tiene perchè basta leggere statistiche e inchieste per rendersene conto, oppure fa come, scambia qualche parola con alcuni studenti di lettere presi a caso, in qualsiasi facoltà – il treno o i mezzi pubblici o addirittura gli eventi letterari, sono terreni fertili per delle discussioni simili – e vedrai che per uno che conosce quello di cui parla, gli altri diranno cazzate, senza fondamento, senza argomentazione e senza fondamento. Pochi parlano bene l’italiano, pochissimi lo scrivono decentemente, hanno un insieme di nozioni e poco spirito critico. Non tutti, ma molti. Per anni ho avuto a che fare con aspiranti giornalisti, scrittori, registi, sceneggiatori, tutti laureati o laureandi, tutti che andavano ai reading di poesie e di opere inedite, tutti che partecipano a spettacoli teatrali sperimentali, tutti a criticare chi guardava la tv o non aveva letto, chessò, De Lillo, ma poi non sapevano chi fosse Boito o Thackeray. La cultura non è quella dell’università, non solo e non più e proprio perché non si forma in posti specifici, posso dire che “con” un operaio – e non “a” un operaio, come se fosse uno che va indottrinato – posso parlare di Shakespeare, per fare un esempio, senza dover utilizzare qualche filtro didattico. Con chiunque lo scopo dovrebbe essere quello di farsi capire, e per farsi capire basta conoscere quello di cui si vuole parlare e usare sapientemente le parole.
    Proprio lo scorso finesettimana ho visto uno speciale su raitre dedicato a un esperimento degli anni ’70 per cui si è portato il teatro in fabbrica, esperimento felice che ha avuto degli strascichi, addirittura uno degli operai è diventato impresario teatrale e adesso dirige il teatro del suo paese. Interpretavano Shakespeare, Miller, Brecht, roba sperimentale, teatro in dialetto e nessuno ha dovuto spiegarglielo con altre parole, pensa un po’.
    Mio padre è una delle persone più preparate che conosca, e ha la V elementare e ha fatto l’operaio per 35 anni e mi ha insegnato tutto quello che so di storia, politica (per esempio aveva previsto come sarebbe andata a finire con i rifiuti in Campania già il giorno dopo le elezioni, e anche quali sarebbero stati i provvedimenti a cui avrebbero messo mano per prima quelli del PdL una volta al potere), economia, mia madre, segretaria d’azienda, mi ha insegnato a leggere e a amare i libri a 4 anni, mio marito è la persona più colta che conosca – e ti assicuro che ne conosco di gente colta eh, per lavoro e per amicizia o solo per stima – e non è laureato, il direttore di una rivista per cui ho collaborato, professore a contratto in una materia umanistica all’univerità, non riusciva a finire una frase di senso compiuto in italiano e dire che lo vedevi sempre con un libro in mano, eh. E potrei continuare a oltranza, ah per esempio il marito di una delle mie amiche, fino a 5 anni fa non aveva mai letto un libro, poi un giorno di punto in bianco ha deciso di cominciare e ora gli devi sparare se vuoi farlo smettere e io mi osno limitata a passargli dei libri che mi piacevano, lui poi è arrivato a Bellow, Joyce, Faulkner, Dos Passos, credi che abbia dovuto spiegarli qualcosa? E sai che lavora fa? Porta i pranzi pronti alle mense scolastiche.
    Mio fratello è laureato in sociologia, non ha mai letto un cazzo a parte libri di politica o d’inchiesta, narrativa quasi per niente, poesia manco a parlarne, filosofia figuriamoci!, è sveglio intelligente, brillante, fa l’operaio per forza di cose al momento. Tra due mesi forse avanza di grado, pensi che prenderà un libro in mano? Non lo farà. Pensi che se lo facesse diventerebbe una persona migliore? Non lo sarebbe, non lo è nessuno. Pensi che già così sia un idiota che non capisce cosa gli dici o che non è in grado di sostenre una conversazione? Sbaglieresti se lo pensassi. E’ solo un laureato con il massimo di voti e a tempo record, che non legge letteratura, che fa l’operaio, che è una mente brillante. non rientra in nessuna statistica, come la maggior parte di noi.
    Tu mi dirai, non contano i casi singoli, e io ti rispondo già adesso e invece si, perchè le generalizzazioni lasciano il tempo che trovano e spesso sono più snob delle leggende metropolitane che si vogliono sfatare.
    Non credo nemmeno che si possa ridurre il 68 all’educazione alla rivoluzione, il 68 nasce anche da legittime rivendicazioni sindacali degli operai a cui nessuno aveva nulla da insegnare, poi la questione si è allargata.

  9. per parlare dovrei vedere i dati che citi, ma secondo me non è tanto questione di “chi può di più spende di meno”. il fatto è che i libri hanno poca “escursione” di prezzo: ci sono jeans da dieci euro e jeans da cinquecentomila euro, mentre sul mercato è molto difficile trovare libri particolarmente costosi. questo significa che se io, ad esempio, guadagno tot e compro 50 libri l’anno, difficilmente potrò comprarne di più. anche se guadagnassi il doppio, probabilmente non avrei la voglia o il tempo di leggere il doppio dei libri. e anche volendo, non troverei edizioni di lusso al doppio del prezzo (salvo qualche caso). è chiaro quindi che, dato il prezzo normale della merce, più sale il mio reddito e meno incide l’acquisto dei libri. credo che questo valga per tutte le attività che richiedono più tempo che soldi, anche se coi soldi volendo si compra il tempo.
    le persone ricche comprano più o meno la stessa quantitià di beni dei poveri (cibo, vestiario, servizi), ma li pagano di più perchè sono di marca o di qualità, ma non avviene così nel nostro settore.
    poi bisogna sempre vedere cosa contiene quello “0,67”: se ci sono anche i libri scolastici, ad esempio, è chiaro che il proletariato (uazuazuaz) finirà per spendere più del ricco single.
    io non credo che gli operai leggano meno della media. direi che gli autonomi leggono poco, perchè in genere fanno lavori con orari molti lunghi e imprevedibili. credo pure che ci sia spazio per fare libri molto più costosi di quelli che si vendono ora, o con servizi come la consegna immediata a casa.

  10. In effetti, Vincenzo, le lauree non significano granché a mio avviso quando si tratta di cultura. William Faulkner, nel periodo in cui scriveva “Santuario”, era un operaio che spalava carbone (e derideva, con feroce odio sociale, “i damerini che frequentano college prestigiosi” ai quali volentieri avrebbe, scriveva lui, “pisciato addosso”). Hubert Selby Jr. era un morto di fame, di bassissima estrazione sociale. Di John Fante non dico nulla perché lo sanno tutti. Quasimodo era un geometra, Montale un ragioniere (e in una sua poesia famosa, “I limoni”, ironizzava sui “poeti laureati” che “si muovono soltanto tra le piante dai nomi poco usati: bossi, ligustri e acanti”). Verga si iscrisse all’università, ma a laurearsi non ci arrivò mai. Stesso destino ebbe Flaubert, lo scrittore forse più perfetto di tutta la storia della letteratura. Pratolini fece il tipografo e il venditore ambulante. Quanto a Mark Twain, la lista dei mestieri che fece è così lunga da riempirci un lenzuolo: e amava dire che “i prosatori che escono da Yale sanno spesso comporre una bella pagina, ma ben di rado riconoscono una buona storia”.

  11. D. i dati sono dell’Aie e dell’Istat, basta andarseli a vedere, come ho fatto io. Lo 0.67% non include i libri scolastici perché le statistiche editoriali sono sempre differenziate.
    Sul resto, non ho capito che vuoi dire, gli autonomi lavorano più degli operai e quindi per forza di cose leggono meno? 8 ore al giorno in fabbrica forse pesano più di 12 ore in ufficio o in tribunale. Ma fare la guerra dei lavori e della relativa fatica è poco utile, e non m’interessa farla, come non m’interessa sostenere che gli operai siano lettori migliori di altri. Ma piegare le statistiche come ci pare non è parimenti utile. I libri incidono sul reddito degli operai più che su quello di altre categorie e non c’entra il costo del libro, ma la spesa in relazione al reddito, non mi pare complicato da capire. Considerati pari a 100 – dopo dovute proporzioni – i redditi di tutti, quelli degli operai vengono spesi per pochi punti percentuali in più per l’acquisto di libri rispetto a quelli degli ingegneri. Questa è matematica (e statistica): niente di più, niente di meno. Poi possiamo discuterne e analizzarli, ma senza tralasciare questi dati o interpretarli come ci pare, snaturandoli.
    Poi non ho mica capito la questione del libro a domicilio: come mai gli autonomi, come li definisci tu, possono comprarsi 3 telefonini, 2 consolle, 4 macchine, un portatile etc etc e non aver tempo di comprare i libri? Non che debbano farlo per forza, figuriamoci, ma mi pare che l’obiezione non regga, se uno vuole leggere un libro, vada a comprarselo, come fa per tutto il resto. Che sia autonomo, dipendente, operario, nullafacente, delinquente 🙂

    davide: in effetti la laurea non rende manco degli ottimi avvocati o giornalisti o medici, figurati se serve a fare lo scrittore, o addirittura il lettore 🙂

  12. seia, rivendico il diritto alle generalizzazioni, se no a furia di casi singoli si può dire tutto e il contrario di tutto. Infatti c’è l’operaio ignorante, c’è l’operaio colto, c’è l’operaio genio della letteratura (come ricordava giustamente licenziamento), c’è l’impiegato ignorante, c’è l’impiegato colto, c’è l’impiegato genio della letteratura, c’è il laureato ignorante e c’è il laureato colto etc. etc. E quindi?

    Detto questo, per spiegarti meglio cosa intendo ti faccio un esempio. Se io incontro un laureato in lettere quando dico la parola “morfologia” accendo in lui tutta una serie di lampadine. Prova a dire “morfologia” al tuo operaio, e vedi che cosa capisce. Ma anche all’imprenditore, se sei più contenta, o anche all’impiegato. Continuo. Metti che io e quest’altro laureato in lettere ci siamo incontrati in una carrozza del treno. Quando io dico “morfologia” a lui si accende la lampadina, mentre agli altri avventori, l’impiegato, l’imprenditore e l’operaio, non si accende un bel niente. Ora, se io continuo a usar termini come morfologia etc, impedisco di fatto agli altri di entrare nella discussione. Questo è esattamente ciò che accade sulle pagine culturali, oggi gestite non dal baronetto von Wurstel, ma molto spesso dall’ex sessantottino a morte la borghesia. E’ questa la spaccatura tra intellettuale e popolo. Al popolo il convegno sulla morfologia non interessa. Gli interessano invece le forme belle dell’arte e della letteratura (e anche dei sederi delle ballerine, perché no?). E secondo me questa spaccatura tra intellettuale e popolo è un male. Ma è un male anche il modo orribile in cui normalmente questa spaccatura viene ricucita, e cioè sempre al ribasso, con l’intellettuale che va in tv a flirtare col nulla, col reality, col trash, per far vedere quanto è moderno lui. Ed è un male anche il rigetto della tv perché i libri sì, la tv no. Balle. Per me la cultura, o se vuoi l’uomo colto, deve saper parlare con tutti, ma con ciascuno in un modo diverso. Andrà in tv a dire cose semplici, intelligenti e di buon senso, come fa per esempio Stefano Zecchi. Poi andrà a un convegno di letterati e userà il termine “morfologia”. Cercando sempre di capire chi ha davanti, senza arroganza. Infatti il punto non è né pensare che i laureati sono tutti colti né che gli operai sono tutti ignoranti, ma creare uno scambio tra i diversi livelli di cultura senza per questo eliminarli, o per forza “contaminarli”, come si dice oggi. Un messaggio, diversi linguaggi.

  13. Vince tu mescoli due discorsi che non sono complementari.
    Affrontiamo il primo: prova a dire morfologia a mio fratello o a mio padre o al marito della mia amica o a Davide – che ti ricordo non è laureato – (che rientrano di diritto nella categoria che tu definisci “il mio operaio o impiegato” o quello che vuoi) o a chissà quanti altri operai o impiegati o ragionieri del catasto o imprenditori non laureati e non vedrai nessuna lampadina accendersi ma la faccia di gente che sa di cosa parli e non si sconvolge e non ti considera niente di più solo perché hai usato una parola come morfologia. Il problema non è pensare che tutti conoscano morfologia per diritto di casta o classe sociale, io sono convinta che un sacco di operai, come un sacco di studenti universatari e se tu la pensi diversamente vuol dire che non sei a contatto con il mondo universitario – non sappiano cosa significa morfologia, e sono anche convinta che non lo sappiano molti scrittori, professori di Chimica all’università, ministri del governo, Vescovi, nessuno è tenuto a saperlo, quello che è grave e che tu pensi che il lavoro di qualcuno lo qualifichi e renda scontate le sue conoscenze o la sua preparazione. Hai presente la gente che legge per piacere o solo per conoscenza e non perché vuole una laurea? Hai presente quelli a cui piace sapere le cose e basta? Ecco, pensare che siccome uno fa l’operaio o la cassiera alla Coop non possa capire quello che dico se uso morfologia – e io non credo di aver mai usato la parola morfologia in una conversazione – è classista, è una generalizzazione che non è lecita ed è pure snob.
    Tra l’altro ho sentito Zecchi sparare più puttanate di quante ne abbia mai sparate mio padre in tutta la sua vita, e in realtà non ne ha mai sparate a pensarci bene, e questo dice tutto.

    Affrontiamo il secondo: il distacco di chi produce o diffonde cultura da chi ne usufruisce, o meglio della maggior parte dei fruitori. Posso essere d’accordo con te su questo, in realtà è tutto così noioso che non è l’uso di termini complicati che allontana la gente dalle pagine culturali dei giornali. Che poi il discorso anche qui è variegato: per le tragedie greche a siracusa, tutti i giorni c’è il pienone, e ci sono giorni in cui non c’è differenziazione di prezzo per i posti proprio per permettere a tutti di assistere allo spettacolo, e i siracusani e i siciliani in genere accorrono in massa. La tragedia greca E’ la cultura, è l’origine della cultura per molti versi, la nostra almeno, e il pubblico la ama, pubblico di ogni estrazione sociale, e non c’è bisogno di nessuno che la spieghi o usi diverse parole per spiegarla.

  14. non ricordo chi, ma qualcuno ha detto che la vera differenza tra un operaio e un intellettuale è che l’intellettuale si lava le mani dopo essere andato a pisciare, l’operaio prima.

    affettuosità

    g.

  15. giuse, il tuo aplomb è fantastico! 🙂 Prima o poi nel mezzo di una nostra conversazione infilo morfologia ad minchiam e voglio vedere se t’accendi o mi meni 🙂 (absit iniura verbis, vince naturalmente).

  16. ma veramente io non sto facendo nessuna guerra tra i mestieri. dico che per leggere ci vuole tempo e che ha più tempo, o almeno può usarlo in maniera più costante, chi lavora a orario fisso piuttosto che un imprenditore, per cui non mi stupisco che i secondi leggano meno degli operai e degli impiegati. per quanto riguarda la proporzione col reditto, ribadisco che mi sembra un indice meno attendibile della spesa in valore assoluto, perchè ad es. l’1% su centomila euro significa 1000 euro di libri, ossia diciamo cento libro (e dieci euro l’uno di media), mentre il 2% su ventimila euro vuol dire 400 euro, ossia 40 libri. Quindi se chi ha un reddito più alto spende la stessa percentuale vuol dire che compra comunque più libri, mentre lo stesso non varrebbe se parlassimo di vestiti (chi guadagna 100 compra dieci capi firmati, chi guadagna 20 compra dieci capi alla standa: i capi però sono sempre 10). in effetti, se la percentuale di reddito speso per i libri rimanesse costante o salisse col reddito si arriverebbe a cose abbastanza curiose, come un notaio che compra cinquemila euro di libri l’anno, che se non consideri quelli acquistati per lavoro significa 500 libri l’anno, uno e mezzo al giorno. perciò mi pare che proprio usare la percentuale del reddito sia un modo per “distorcere” la statistica, perchè da l’impressione che la gente coi soldi legge meno o quanto gli operai, mentre probabilmente non è vero (almeno per quantità).

  17. accendilo tu questo quore che è spento…
    ah…! l’audacia della morfologia, l’ebrezza delle statistiche, la sagacia dei notai…e io che perdo tempo dietro alle donne…

    affettuosità

    g.

  18. seia, come sempre o mi sono spiegato male io o tu non hai capito un cazzo.
    cerco di ridirlo nel modo più semplice del mondo, a prova di operaio. 🙂

    primo: sei tu che hai titolato il tuo post “workers do it better”. Sei tu che hai tirato in ballo i mestieri che uno fa e “coloro che pensano addirittura, che per parlare di cultura agli operai, sia necessario usare parole o metodi diversi rispetto a quelli che si usano, chessò, per gli studenti universitari, per gli avvocati o per gli ingegneri”. Anche se tu lo facevi per dire che non bisogna giudicare dai mestieri, già solo il fatto che imposti il problema in questo modo sa di rivalsa sociale, e cioè di una posizione che è a sua volta classista. “workers do it better”, appunto. per me non porta da nessuna parte.

    poi: per essere ancora più chiaro sulle mie idee in merito al “parlare di cultura” con chiunque. Ci sono persone che indipendentemente da quello che fanno nella vita – e sottolineo indipendentemente da quello che fanno nella vita – hanno un livello di cultura superiore agli altri. Nel mio esempio sanno cosa vuol dire “morfologia” e possono essere interessati alla morfologia. A questi devi parlare con un certo linguaggio nei luoghi deputati. Poi ci sono molte altre persone che non hanno studiato e non sanno cos’è la morfologia e non gliene frega. Quando parli con queste di libri, di cultura, di arte etc., lo farai in un modo diverso dai “tecnici”. Ma le differenze tra livelli di cultura ci sono, sono reali, lo dici tu stessa quando parli di tuo padre e di tutti gli altri, e non capisco perché allora ti ostini a negare che abbiano un peso nella scelta dei linguaggi. (o forse semplicemente a te interessa di più dire che workers do it better).

    infine: non avevo dubbi che per te le cose che dice zecchi sono puttanate, ma ovviamente sai bene che anche quelle che diresti tu – e mi fai supporre anche quelle che direbbe tuo padre a questo punto – in tv per me sarebbero puttanate. Ma il vero problema è: l’uomo di cultura non rappresenta la cultura? Non “parla di cultura” col suo stesso andare o non andare in certi luoghi, tra quelli della tv? Col dire o non dire certe cose? C’è o no un discrimine oltre il quale non si può andare? Per esempio, per me quando l’uomo di cultura va a un talk show moderato, non fa nulla di male e dice la sua. Quando invece va a un reality (e zecchi non lo ha mai fatto) e si mette a discutere con gli altri, qualunque cosa dica è come se dicesse: “la cultura oggi è il nulla”. Anche questo è “parlare di cultura”, ed è un messaggio talmente basico che non serve nemmeno la prima elementare per capirlo.

  19. vincenzo: guarda, potrei risponderti come ti meriteresti in tema di cazzate e altro ma sono la padrona di casa e mi astengo, faccio solo notare che ti contraddici, perchè prima sostieni apoditticamente che “gli operai” non capirebbero il termine morfologia. mentre invece “gli studenti universitari” si, e poi invece parli genericamente di persone “che ne saprebbero di meno di altre” indipendentemente dal loro lavoro, che è quello che sostengo io dall’inizio. Ma l’onestà intellettuale non è roba per tutti 🙂

  20. Vincenzo, sinceramente rimango stupito dalla tua osservazione sul termine “morfologia”. Nello specifico, dubito seriamente che questo termine accenderebbe lampadine nella testa di moltissimi laureati che conosco. Peraltro, dubito seriamente che il livello culturale di una persona possa misurarsi sulla base di ciò che “gli fa accendere una lampadina in testa”. Se io sento la parola “morfologia” nella mia testa non si accende nessuna lampadina: tuttavia trovo intriganti, e fascinose, parole come “locupletare”, “metastorico”, “monofisitismo”, “eterodossia”. Ciascuno va a nozze con le parole che preferisce, e – come osserva saggiamente Umberto Eco – la cultura di una persona si misura in base alla sua capacità di mettere in relazione significati e significanti in costrutti articolati, dotati di senso. In questa logica, Eco considererebbe “più colti” degli operai illetterati che però hanno esperienza di dialettica (come magari succede, ad esempio, ai sindacalisti) piuttosto che dei letterati che, di competenza dialettica, non ne hanno. La curiosità per la conoscenza, ed ergo per la lettura, nascono proprio in un contesto di dialettica forte e densa, perché se Tizio interagisce dialetticamente in modo continuativo e profittevole andrà in cerca di strumenti per comunicare meglio, o semplicemente per approfondire le proprie nozioni. In ambito universitario, questa curiosità per la conoscenza non l’ho mai vista, almeno in Italia: più probabile trovarla nel mondo operaio, dei mestieri, del giornalismo del bel tempo che fu (quello di Montanelli e della Fallaci per intenderci).

    Sorvolo – per carità di patria – su Zecchi, uomo ignorantissimo e rozzo, che non capisce la modernità né la postmodernità, e che come i peggiori vandali vorrebbe distruggere ciò che non capisce.

  21. si parlo’ all’incirca di ‘sta roba da queste parti.
    http://herzog.splinder.com/1135067180#6628801
    E io dissi la mia, da metalmeccanico che suo malgrado cerca di leggere e sapere. Purtroppo alcuni scollamenti ci sono ancora, ma e’ anche vero che l’ignoranza – cosi’ come lo spirito critico – sono trasversali all’interno della categorie professionali e/o sociali.
    (a lavoro mi lavo sempre le mani prima di pisciare, ma poi anche dopo… quasi mai mentre… Giuse in che categoria rientro?)

  22. a. se te le lavassi anche mentre saresti un acrobata, ma così sei solo un uomo pulito mi sa, certo più della media dei maschietti, eh 🙂
    Ho letto il post e qualche commento e devo dire che la questione non mi appassiona, io non ho mai letto nemmeno il blog di un lavavetri o di uno speleologo ma sopravvivo lo stesso e anche loro penso. Non penso che la storia si fermi perché un operaio non apre il blog (e so per certo che invece ce ne sono), poi pensa che palle un blog che parli di fabbrica e grasso, come voleva l’autore del post, cosa dovrebbe dirmi? Ma lo stesso vale per il blog di un copy o di un medico che parlino solo del loro lavoro. In realtà pure i blog letterari fanno due palle tante, quando si prendono sul serio o sono completamente monotematici. Solo gli chf-blog sono sempre interessanti 🙂
    Sul resto hai assolutamente ragione: l’ignoranza è trasversale. Oggi durante una riunione per lo Start up di un grosso progetto per la mia azienda, il referente del nostro cliente, nell’illustrare le peculiarità del servizio che dovremmo gestire, dopo aver infilato 10000 cioè nel discorso e un sacco di avverbi posizionati ad minchiam nelle frasi, ha detto a un certo punto: “bisogna vedere qual è il factoring che ha conceduto il fido”.
    Alla fine della riunione, en passant le ho chiesto se era italiana, naturalmente lo era, e aveva una laurea in marketing finanziario e una specializzazione in Comunicazione d’Azienda. Le ho fatto molti complimenti, non credo che abbia capito l’ironia e il mio capo mi ha diffidato dal farglielo notare 😉

  23. seia, purtroppo anche l’elasticità mentale è virtù di pochi. 🙂
    Sei riuscita a capire che il mio è un discorso classista, mentre per chi vuole capire, non lo è. Infatti ti ho ben specificato che rivendicavo il diritto alla generalizzazione proprio per capirci meglio, ma non è servito a niente. Ti ho detto chiaramente che l’importante non è cosa fai ma il tuo livello culturale, quando si tratta di “parlare di cultura”. Ma pazienza, mi pare che qui lo scopo non era capirsi, bensì darsi una pacca sulla spalla e dirsi che anche un operaio può essere un uomo colto. Complimenti per la scoperta, è veramente roba da non credere per noi classisti.

    davide, “morfologia” è solo il primo esempio del cazzo che mi è venuto. Se poi nei commenti bisogna fornire le generalità e i curriculum di qualsiasi persona o categoria citata ad esempio, basta dirlo. Per la prossima volta sono avvisato.
    Io invece rimango stupito dal tuo giudizio su zecchi, che proprio ignorantissimo non è. Rozzo non so, ma sai, anche la rozzezza è trasversale, come la pasta asciutta, il moccolo dal naso e molto altro. Mannagia a Eco.

  24. Vincenzo, giudico Zecchi ignorante e rozzo avendo letto due suoi libri (“L’artista armato” e “Capire l’arte”). Sono libri da cui emerge una nullità di pensiero disarmante, una totale incapacità di comprendere modernità e postmodernità. Se puoi suggerirmi suoi testi che mi facciano ricredere, io sono qui.

  25. vincenzo (e qui la finisco, perché mi pare che – come al solito – che io dico picche, tu rispondi bastoni e poi dici di aver buttato giù quadri. C’ho messo una vita a spiegarmi questa metafora, mentre la scrivevo 🙂 ), chi l’ha scritto: “Quando io dico “morfologia” a lui si accende la lampadina, mentre agli altri avventori, l’impiegato, l’imprenditore e l’operaio, non si accende un bel niente.”? Te no? E in questa frase – come altre che TU hai scritto – non mi pare che tu sostenga che l’importante “non è cosa fai ma il tuo livello culturale”, non mi pare proprio, ma magari a te l’italiano te l’hanno insegnato all’estero e quindi ti confondi 🙂
    Io invece non ho mai scritto che l’operaio, in quanto tale è colto o più colto di altri o che “anche un operaio può essere colto”, mi pare una cosa scontata, il mio discorso era un altro, ma non pretendo che ti sia chiaro, dai, m’arrendo.

  26. …quasi mai mentre…

    ci deve essere qualcosa di segretamente positivo nello scrivere sciocchezzuole, visto che sono in tanti a farlo.

    affettuosità

    g.

    p.s.
    la pulizia media dei maschietti: parliamone, arieggiando il locale.

  27. davide, ti segnalo i primi che mi vengono in mente:
    -“La Bellezza”, Bollati Boringhieri, 1990 (o 89 o 91).
    -“Fenomenologia dell’esperienza”, un lavoro su Husserl.

    In “La Bellezza” puoi trovare qual è la sua idea di modernità, pensata sulla traccia di diversi pensatori e poeti, soprattutto Goethe, ma anche Ernst Bloch, Holderlin, Trakl. Questa idea in seguito è stata declinata in maniera più divulgativa su altri libri, tra cui anche “L’artista armato”.
    Zecchi semplicemente si rifà a pensatori accantonati o considerati di per sé estranei alla modernità. Facendo questo mette in discussione radicalmente quell’idea stessa e il nichilismo che vi sta alla base. Nei suoi corsi mostra per esempio cosa c’è di goethiano in Nietzsche, l’idea di nichilismo di Nietzsche rielaborata da Heidegger, il tentativo
    dell’umanesimo di Thomas Mann e il suo rapporto col nichilismo, la fenomenologia di Husserl. Se poi per te il nichilismo non è un problema ma una melassa goduriosa, buon per te. E se le sue idee non coincidono con le tue o con quelle di Eco o con quelle di tanti altri, non è motivo sufficiente per dichiarare la sua presunta “nullità di pensiero”.

    seia, mi arrendo, viva la classe operaia, abbasso i classisti.

  28. Vincenzo, per me il nichilismo non è un problema né una melassa goduriosa: è un fenomeno che va capito e analizzato se si vuol capire qualcosa della tarda modernità, ma è un fenomeno già vecchio, nella postmodernità, dove semmai è dominante il pragmatismo nella declinazione di Rorty. Il nichilismo è completamente superato da questo pragmatismo radicale. Non esiste, dice Rorty a più riprese, un mitico “là fuori” una “verità filosofica” da conoscere, e dunque è inutile l’indagine della verità, poiché la realtà esiste esclusivamente sempre all’interno di una serie di prospettive storicamente e socialmente condizionate che corrispondono a modi diversi di atteggiarsi di fronte al mondo. Alla concezione (metafisica) della verità come “scoperta”, Rorty, partendo dall’idea del mondo finalmente perduto (che era quella del vecchio nichilismo), oppone la concezione (pragmatistica) della verità come costruzione umana.

    Il problema di Zecchi è che si accanisce su cose vecchie e pressoché sepolte (nichilismo) e vagheggia dell’impossibile sodalizio tra etica ed estetica, che è una cosa totalmente fuori dal mondo (e non perché questa sua opinione mia o di Eco o di altri, ma perché NON ESISTE PROPRIO, nel senso che non si dà luogo, o contesto, al mondo ove questa concezione si realizzi). I criteri etici, così come quelli estetici, sono frutto di un processo dialettico, non sono dati una volta per tutte (come vorrebbero le religioni) né destinati a produrre una conclusione storica (come avrebbe voluto il marxismo), né destinati all’implosione (nichilismo). Tutti i valori sono oggetto di continua ridiscussione. Un esempio su tutti: l’ideale, emerso dalla seconda guerra mondiale, dei “diritti umani universali”, è in crisi nera: la Cina ha ampiamente dimostrato che, se si ha forza sufficiente, si possono benissimo ignorare i diritti umani altrui senza conseguenza.

  29. davide, prima di tutto una curiosità: ma questa modernità superata dalla postmodernità… ma quand’è che sarebbe successo?

    Sul nichilismo, io invece ritengo che non sia affatto un concetto superato. Tu abbracci Rorty, io no. Io non posso in alcun modo dimostrare che esista una “verità esterna”, ma so che c’è. Questa verità è una nostra creazione? In gran parte è così, ma nemmeno questo è dimostrabile fino in fondo. Non si può ovviamente pensare di opporre a un pragmatismo assoluto la metafisica di San Tommaso. Tuttavia si può pensare al legame tra fisico e metafisico (o tra soggetto e oggetto) come a una realtà dotata di una sua necessità. Si crea così un legame tra noi e il mondo, la tradizione e il futuro. Nel metafisico ci sono le “fonti eterne” per usare un’immagine. O “le madri”, per usare un’immagine del Faust di Goethe. Non possiamo conoscerle direttamente, ma possiamo conoscere le loro forme sensibili. Tutte le forme sensibili discendono da lì, secondo la lezione di Plotino. Certo che oggi il caos è tale che ci si perde, non dico di no. Pensare che il Grande Fratello discenda dall’Uno mi mette i brividi. Ma se si allarga la prospettiva non è poi così assurdo. E’ solo che la giostra gira a un ritmo talmente alto che viene il mal di testa. Ma se tu dici relativismo, io dico metamorfosi. La verità c’è ed è una, ma le sue facce sono infinite.

    Giusta osservazione quella sui diritti umani. I diritti umani in Cina sono in crisi, certo. Ma se la guardi dall’alto, vedi anche che altrove si forma per reazione, come seguendo una legge naturale, un pensiero ancora più attaccato ai diritti umani, si forma l’idea di appartenere tutti a un'”unica nazione democratica”, per semplificare. Ovviamente non sono le uniche due posizioni possibili, e non è affatto detto che domani debba per forza vincere una delle due posizioni. Solo la storia dirà come andrà a finire. Ma per ora prova a mettere a fuoco lo scontro tra le due posizioni, come un simbolo che oscilla tra mito e storia. Se lo guardi così, molto dall’alto, ci puoi vedere dentro, miticamente, lo stesso senso di tutti gli altri scontri politici avvenuti, con in più qualcosa di inedito, frutto della storia: l’orizzonte planetario per esempio, gli strumenti attuali con cui lo si combatte, armi, tv, internet, impensabili fino a pochi decenni fa. Naturalmente non è che un generale cinese o un operatore dei diritti umani possano pensarla così così nel quotidiano. E’ l’arte e soltanto l’arte che può fartela vedere così. E per me c’è del vero in questa visione.

  30. Vincenzo, lo sgretolamento della modernità è un fenomeno che comincia approssimativamente quando le comunità più ricche ed evolute (leggi: i Paesi ricchi e industrializzati) iniziano a disinteressaesi della pretesa propria dell’epoca moderna di fondare un unico senso del mondo partendo da principi metafisici, ideologici o religiosi; e di conseguenza si produce una apertura verso la precarietà di ogni senso. Alcuni segnali importanti: la secolarizzazione delle culture; l’affermazione dell’individualismo; l’insorgere del pragmatismo nei comportamenti individuali e collettivi; la progressiva morte delle ideologie. I primi segnali si hanno verso la fine degli anni Cinquanta, ma è negli anni Settanta che la postmodernità diventa un fatto evidente: emblematico il fenomeno come la contestazione studentesca (esempio clamoroso di contestazione “pura”, cioè priva di contenuti, che attacca un modello di società senza avere in mente un modello sostitutivo) così come il successivo insorgere del consumismo e del culto del benessere. Quanto a Rorty, non si tratta si sposarlo o meno: è che lui ha descritto ciò che sarebbe avvenuto, mentre questa trasformazione era ancora in nuce.

    (Permettimi, poi, di correggerti su un punto: tu hai scritto: – Io non posso in alcun modo dimostrare che esista una “verità esterna”, ma so che c’è -. Avresti, semmai, dovuto scrivere: “io credo che ci sia”. Sapere una cosa e crederla sono due esperienze molto diverse.)

  31. NB. Quando mi riferisco alla contestazione studentesca come esempio clamoroso di contestazione “pura”, cioè priva di contenuti, penso anzitutto all’assoluta (e per certi versi bellissima, barocca) desertificazione di senso che la caratterizza. “Tutto il potere ai Soviet”, ai tempi della rivoluzione russa, era uno slogan che significava qualcosa: “Vietato vietare”, invece, non significa niente. In questo niente c’è tutta la bellezza di un mondo, quello occidentale, che ha toccato il momento più alto della parabola ed è pronto a iniziare il suo declino, il suo crepuscolo.

  32. Molto interessante lo scambio tra Davide e Vincenzillo… bravi tutti e 2 a prescindere dalle posizioni.
    Una cosa per Davide. Non ritieni che l’individuazione della Cina come “luogo” di crisi per i diritti umani sia valida esclusivamente in relazione al punto di osservazione? Ovvero, visto “da qui” è così, ma visto dalla Cina, noi, di quei diritti, rappresentiamo il trionfo. Siamo la dimostrazione che la coattività e l’uso della forza da parte dello stato possono essere “addomesticati” dai diritti umani. Tanto più che per la popolazione cinese l’interesse sui diritti umani (come noi li intendiamo) è un fatto puttosto recente, uscito fuori da quando, sbirciando al di là dei propri confini, si sono resi conto che tali diritti, in efetti, da qualche parte esistono per davvero. Dopodiché i processi sociali sono lenti, ma dal mio punto di vista credo che in termini generali, la Cina, tra qualche anno, rappresenterà una nuova conquista in tema di diritti civili e non un sintomo di crisi.
    Magari però sbaglio, eh! 🙂
    Saluti D

  33. Diego, attenzione: io non mi riferisco al fatto che la Cina sia “in ritardo” sui diritti umani, bensì al fatto che abbia dimostrato come sia possibile fare il proprio ingresso tra i Grandi e allo stesso tempo ignorare le pretese degli altri Grandi in termini di adeguamento a determinati standard nel campo dei diritti umani. Non è come il caso della Turchia, ad es., il cui ingresso nell’UE è condizionato a cambiamenti in tal senso. La Cina è abbastanza forte da IMPORRE il suo modo di vedere le cose: per cui può agire unilateralmente senza subire conseguenze politiche ed economiche. Nessuno metterà mai l’embargo alla Cina come è stato fatto in passato per Cuba o l’Iraq, perché nessuno ha la forza di imporlo.

  34. davide, capisco, allora tu vedi la modernità come tentativo di “fondare un unico senso del mondo partendo da principi metafisici, ideologici o religiosi”. Invece io una cosa del genere la vedrei di più per il medioevo, mentre la modernità la vedo come l’ingresso dell’infinito – e parallelamente del soggetto kantianamente inteso – in un mondo precedentemente fondato su assoluti. Quindi la liberazione del soggetto, e nello stesso tempo la presa in carico da parte di un tale soggetto di un destino più grande di lui. La libertà, nel suo rapporto col destino, per me è il segno di questo infinito nell’esperienza individuale e collettiva. E credo che questa modernità non sia ancora terminata, nel senso che non si sono ancora esaurite le sue possibilità mitopoietiche. Questa tensione verso l’infinito, magistralmente incarnata da Faust, è stata semplicemente accantonata, i pezzi lasciati andare ciascuno per conto suo, in un marasma di conflitti e di interessi di varia natura, di cui nessuno è interessato a cogliere il bandolo. Pura volontà di potenza, direbbe Nietzsche.
    Per esempio – per tornare ai diritti umani – nelle vicende internazionali, belliche o no, non si tiene mai nel giusto conto la libertà, non si capisce che è proprio quella tensione verso l’infinito ad alimentare la tentata “conquista” del mondo da parte dell’occidente.

  35. Sig.na Seia, se lo faccia dire: lei è una bolscevica. Senza remore. In pasto a leoni, la darei.

    Ps: ma quanto cazzo è piccolo il carattere di sto post? La smetti di copincollare da word?
    Pps: mai visto un blog con commenti più lunghi dei post. Mi sono perso subito.

  36. Parlare degli esseri umani in maniera così classista è qualcosa che ha del vergognoso. Questa mancanza di universitalità del pensiero è, a mio avviso, il male più grande dell’umanità in generale e della nostra patetica nazione in particolare. Questi blog servono solo ed esclusivamente a confermare che l’idiozia non ha classe e che non sempre (quasi mai) chi legge lo fa per il puro piacere della lettura, per somatizzare il pensiero altrui in un ottica di auto-perfezionamento ma solo per cogliere in fallo chi ignora ciò di cui si sta parlando. Vergogna.

  37. Teddy: ma se sono quasi democristiana a volte 🙂 Non so che succede al blog, non riesco a formattare i post correttamente.
    Calcola che io spesso non leggo nemmeno i post lunghi, figurati i commenti. Soprattutto i miei 🙂

    Hero: ma con chi ce l’hai???
    E poi “mancanza di universalità del pensiero” messo così come l’hai metto tu, non significa un cazzo, lasciate lo dire. I blog non servono a niente, ma è evidente che tu ne leggi pochi, o leggi quelli sbagliati 🙂

  38. E poi “mancanza di universalità del pensiero” messo così come l’hai metto tu, non significa un cazzo, lasciate lo dire.

    Come volevasi dimostrare…meno male che fra un pò saremo tutti morti.

  39. …e mi citi pure Ray Bradbury! Non lo sopporto! Giù le mani dal re! Sciacquatevi le bocche con Nietzche e Kant ma lasciate stare Ray!
    Seia ti vedo bene alla guida di una “salamandra”…la cultura è nostra e di nessun altro. Piuttosto BRUCIAMO TUTTO!
    E visto che conosci Bradbury ti consiglio la raccolta di racconti “il grande mondo laggiù” e, nello specifico, proprio il racconto che dà il nome al libro. E’ di una delicatezza sconvolgente e rappresenta una sorta di manifesto anti-questopost.

  40. Hero: dai è uno scherzo, ammettilo. O almeno ammetti che non hai capito una mazza di quello che ho scritto in questo post. Capita, basta non continuare a essere arroganti e perserverare nell’errore.
    Non puoi consigliarmi nulla di Bradbury perché credo di aver letto tutto quello che ha pubblicato, ritenta 🙂
    La salamandra la lascio a te, ai classisti – contro cui me la sono presa, ma evidentemente hai letto ad occhi chiusi – e a tutti quelli che intervengono ad minchiam nelle discussioni.

  41. Forse, come tu dici, non ho capito una mazza della tua interessantissima inchiesta, di quello che tu hai estrapolato da un qualche mezzo di informazione imprecisato, ripassato in padella con un pò d’olio e servito a noi miseri mortali come succulento piatto da gourmet (per palati fini YUM YUM) ma forse può anche essere vero che ti sei un pò persa lo sviluppo del post e che tu abbia letto (o non letto) con pressappochismo le parole di coloro che sono intervenuti. Questo è molto maturo. I miei commenti si riferivano infatti a ciò che questa innovativa ed interessantissima inchiesta ha fatto emergere in maniera vivida. Ancora una volta gente che non sa attraversare la strada se non facendosi prendere per la manina da papà Kant o zio Nietzche. E basta! Quegli uomini hanno scritto ciò che hanno scritto principalmente per aiutare loro stessi. C’è qualcuno che cogita con la propria mente? C’è qualcuno in grado di prendere posizione? Le palle, dove sono le palle? Esprimo concetti stupidi e facilmente attaccabili? Meglio affidarsi alle parole di altri. Rileggi attentamente e, per favore, abbatti il tuo ego che non è mai tardi nella vita.

  42. Hero: che tu non abbia capito una mazza è evidente. Io sono tranquillissima, mentre invece se fossi in te mi preoccuperei davvero.
    Comunque – ultima volta che perdo tempo a risponderti – i dati sono tratti dall’annuale rapporto dell’Aie e dall’Istat, come peraltro avevo già detto, ma figurati se tu leggi prima di sparare minchiate. Quei dati poi non sono presi per oro colato ma per ribaltare un luogo comune privo di fondamento.
    Io i commenti li ho letti tutti e infatti ho risposto, tu invece, idem come sopra.
    Sei intervenuto blaterando stronzate tipo “vergogna” senza specificare con chi ce l’avessi, e senza renderti conto che qui si c’erano due opposte prese di posizione, quindi sparare nel mucchio come hai fatto tu oltre a non essere utile o produttivo o significativo, vuol dire che ti è completamente sfuggito il senso della discussione del post.
    Sul resto, stendiamo un pietoso silenzio, che ti commenti da solo.

  43. Seia ti ringrazio di avermi ospitato nel tuo blog e ti incito ad andare avanti perchè questo genere di attività è ossigeno per il nostro paese alla deriva.
    La mia era solo una provocazione per farti capire come ci si sente quando qualcuno entra in un contesto, senza neanche comprenderne lo spirito, e spara a zero dall’alto di un rozzo pulpito.

    ” Fantastici! Dai, non sono mica veri, recitano! 🙂 ”

    Ti riconosci?
    Come vedi quando recito riesco ad arrivare dove voglio e a far parlare una dolce signora/ina come un camionista.

    Baci.

  44. hero: adesso sono davvero di corsa e quindi ti rispondo dopo nel merito. Ora solo due cose: avevo visto il link da cui arrivavi e immaginavo avessi a che fare con quel forum o con il festival dei corti di Pescara, poi tu non mi hai mai visto alla guida, ti assicuro che arrossirebbe anche un camionista! 🙂

  45. devo ringraziare davvero mio padre che nonostante tutto si è sempre prodigato per farmi leggere fin da piccolo. ho un ricordo stupendo di certi libri di storia per bimbi con illustrazioni bellissime. grande babbo!

  46. xunder, tu forse non lo potevi immaginare perché a quei tempi eri ancora troppo ingenuo, ma la storia di cappuccetto rosso non è altro che un’allegoria del riscatto della classe operaia. Intanto il cappuccio è rosso, colore non casuale. Poi nessuno lo ha mai rivoltato, ma scommetto che sotto ci sono falce e martello. Il lupo naturalmente è il famelico padrone capitalista, che vuole a tutti i costi appropriarsi del surplus (il cestino) e nutrirsi del lavoro degli operai minorenni (il corpo stesso di cappuccetto rosso appunto) e fagocitando prima di tutto i contributi per le pensioni (nonna). Il cacciatore è ovviamente il rivoluzionario. Giustizia è fatta! 🙂

  47. solo per la cronaca: visto che le percentuali sono dell’istat, e non credo che ci lavorino solo incompetenti, esistono dei fattori correttivi per far si che lo 0,67% degli operai non sia sproporzionato rispetto allo stesso valore dei “ricchi”. Senza questi fattori correttivi non ha senzo confrontare 2 diverse percentuali. Quindi per chi sostenesse che, visto che sono diversi i valori assoluti degli stipendi, i “ricchi” spendono più della classe operaia in libri, allora sappiate che state dicendo una falsità.
    Inoltre da ingegnere quale sono, rivendico l’importanza della cultura ma solo se accompagnata da un adeguato livello di intelligenza. Senza la seconda la prima diventa pura nozionistica. Sono convinto inoltre che il problema risieda appunto nel quoziente intellettivo medio che a mio parere è drasticamente sceso. Non si tratta di lotte di classe…la mia è una lotta per la rinascita del’illuminismo e del culto della ragione. Cordiali saluti

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