Una domenica da cupio dissolvi: Appuntamento a Samarra di John O’Hara

appuntamento a samarra - seia montanelli

E’ stata una tranquilla domenica di lavoro finché la necessità di una pausa non mi ha spinto a fare del web surfing a caso e di sito in sito, di ricerca in ricerca sono finita su un articolo di Thriller Magazine che mi ha creato un forte disagio, usando eufemismi poco realistici.

In pratica l’estensore di questo pezzo, che si firma Lucius Etruscus, mentre cerca di dimostrare, non si sa bene perché, che la leggenda sull’ineluttabilità della morte che ha per protagonista la morte stessa e un tipo che cerca di sfuggirle inutilmente (leggenda ripresa più volte nella letteratura, nel cinema e nella musica, per esempio in “Samarcanda” di Vecchioni), non ha origini mediorientali ma europee, ripete più volte, dandola come verità incontrovertibile e assodata, che Appuntamento a Samarra di John O’Hara è un libro che non solo racconta una storia slegata dal titolo (e mi chiedo cosa abbia capito il tipo o la tipa dalla lettura del testo), ma che il romanzo stesso deve la sua scarsa e di conseguenza immeritata fama, alla sola citazione della leggenda, ambientata a Samarra ( non a Samarcanda), come da citazione di un libro di William Somerset Maugham letto dall’autore poco prima della pubblicazione del romanzo e che O’Hara mette in esergo al libro.

Per ben quattro volte, le ho contate, l’articolista che sono convinta non abbia letto il romanzo e se l’ha letto non l’ha capito, spaccia la sua idea sul romanzo come fosse una critica condivisa e definitiva, senza se e senza ma, e ancora una volta mi stupisco della facilità con cui in rete chiunque possa veicolare informazioni inesatte se non palesemente errate senza preoccuparsi minimamente di porre un limite al proprio ego ipertrofico che considera i gusti personali alla stregua di giudizi critici argomentati.

Poiché SECONDO ME il tipo ha toccato uno dei romanzi più belli che siano mai stati scritti, per riequilibrare un po’’ le cose ricomincio il blog proprio da un mio vecchio pezzo su “Appuntamento a Samarra”, che aveva un titolo bellissimo “Cupio dissolvi“, ma se non vi fidate di me, fate qualche ricerca su John O’Hara e il suo romanzo più famoso, e poi andate a spiegare quattro cosette a Lucius Etruscus..

Buona lettura.

In Sheppey, la sua ultima commedia, William Somerset Maugham (prima di Roberto Vecchioni) riprende una vecchia leggenda mediorientale e svela che noi tutti abbiamo un appuntamento a Samarra:

“C’era a Bagdad un mercante che mandò il suo servo al mercato per fare provviste. E il servo ritornò ben presto, pallido e tremante, e disse: «Padrone, poco fa, mentre ero al mercato, fui urtato da una donna nella folla, e quando mi volsi mi accorsi che era stata la morte ad urtarmi. Mi guardò e mi fece un gesto minaccioso. Te ne supplico, prestami il tuo cavallo ed io abbandonerò questa città per sfuggire al mio destino. E andrò a Samarra, dove la morte non potrà trovarmi.» Il mercante gli prestò il suo cavallo, e il servo montò in sella e, spronando a sangue l’animale, partì al galoppo. Allora il mercante si recò alla piazza del mercato e mi scorse fra la folla. «Perché hai fatto un gesto minaccioso al mio servo, stamane?» mi chiese avvicinandosi. «Il mio gesto non era di minaccia, bensì di sorpresa» risposi. «Fui stupita di vederlo a Bagdad poiché avevo un appuntamento col lui questa notte a Samarra.»”

John O’Hara, giovane reporter squattrinato, mette questo raccontino in epigrafe al romanzo che sta scrivendo e ne invia i primi capitoli a tre editori diversi accompagnandoli con una breve descrizione della sua precaria esistenza: una camera ammobiliata con un letto che fa anche da scrivania  e una cronica mancanza di denaro che gli impedisce di poter continuare a scrivere. Uno degli editori intuendo la qualità della storia e della scrittura gli invia un assegno e il romanzo viene pubblicato nel 1934 col titolo di Appointment in Samarra.

Nasce così un classico della letteratura americana: recentemente la “Modern Library” lo ha incluso nella lista dei cento migliori libri in lingua inglese del ventesimo secolo e il “Time” lo ha annoverato fra i cento migliori romanzi in lingua inglese di tutti i tempi.

Appuntamento a Samarra racconta gli ultimi tre giorni di vita del giovane Julian English, brillante rappresentante di una generazione attiva e ambiziosa, cresciuto nella provincia americana degli anni ’30 e totalmente assorbito dai riti della vita cittadina, tra ricevimenti e gite all’aperto, rapporti di buon vicinato, ipocrisia da circolo privato e rapporti clientelari opprimenti come la stretta di un cobra. Julian dirige un’azienda che ha creato dal nulla, è sposato con la bella Caroline che lo ama ma lo vorrebbe meno insofferente alla mediocrità del loro ambiente, è adorato dalla madre e stimato con riserva dal padre che lo considera una testa calda, ma soprattutto è uno dei personaggi più in vista della comunità cui appartiene: sempre invitato alle feste, amico di tutti, in affari con molti.  Una vita tranquilla, così tranquilla da sembrare anestetizzataa resistere alla morale da quattro soldi che domina l’esistenza sempre uguale di Gibbsville – la cittadina immaginaria dove si svolge la vicenda – non è semplice, soprattutto quando l’alcool rende più sinceri e meno accorti. E una sera Julian esplode, si ribella al conformismo, all’opportunismo, alle convenzioni e scaglia in faccia a Harry Reilly, altro notabile del suo gruppo, una bibita ghiacciata, obbedendo ad un gesto improvviso ma non inaspettato, visto che il tipo gli sta antipatico e a fatica lo ha tollerato sino ad allora.

E’ l’inizio della fine, Julian si è suicidato socialmente ancora prima di morire davvero.

Svelare il finale della storia non è una cattiveria da parte mia perché sin dalle prime pagine Appuntamento a Samarra si denuncia come la descrizione della lunga e inesorabile marcia di Julian verso la morte. La scelta stessa del titolo, che nell’introduzione alla prima edizione del romanzo, O’Hara svela non essere piaciuto a nessuno (da Dorothy Parker al suo editore), serve a rendere l’idea dell’inevitabilità della morte del protagonista. Perché è diventato un reietto, un paria, ha violato le regole, non è stato al gioco e quindi deve morire. La cosa straordinaria è che Julian fa tutto da solo. Le catene del conformismo sono così serrate attorno a lui e dentro di lui, che comincia a vedere nemici e complotti ovunque. Il suo gesto ha sconvolto l’intera Gibbsville, ma se Julian avesse dimostrato un minimo di pentimento sarebbe stato riaccolto a braccia aperte in seno alla comunità. Lo stesso Reilly non ha dato eccessivo peso all’episodio, in fondo Julian è giovane e poi quando beve non è più se stesso. Ma Caroline comincia a pressarlo, i suoi genitori sono preoccupati, la gente gli chiede cosa mai gli sia successo e lui lascia fluire tutto il malessere accumulato nel corso di un’intera esistenza, lascia che l’angoscia e la rabbia lo posseggano e inanella una serie di stupidaggini dopo l’altra, fino a farsi lasciare dalla moglie ed espellere dal club di cui è socio, cosa gli resta da fare alla fine se non morire per liberarsi da tutto e tutti? O forse solo per scappare?

Il ritmo della storia è inesorabile, pagina dopo pagina Julian manifesta un insano desiderio di morte, ogni suo gesto, ogni sua parola è un colpo inferto alla sua posizione sociale, al suo matrimonio e alla sua stessa vita. E’ la messa in scena della deliberata discesa agli inferi di un uomo che non può più accettare di vivere secondo regole che non riconosce e a ogni passo sprofonda sempre più nell’abisso.

Dopo Appuntamento a Samarra O’Hara viene celebrato come il cantore della provincia americana degli anni ’30, proprio come Fitzgerald, che l’ammirava, era il creatore dell’età del jazz. Entrambi denunciano un malessere, la solitudine e il dolore dell’esistenza e allo stesso modo i loro romanzi parlano (a dieci anni di distanza l’uno dall’altro) di una generazione sbandata, senza scopi, priva di veri ideali per cui combattere. Ciò che li divide però è lo stile: O’Hara ricorre ad una scrittura ruvida secca, decisa, basata sul dialogo e senza concessioni ai compiacimenti letterari, tipica dell’hard blod fiction in cui eccelleva Hemingway. Non solo non c’è sentimentalismo nelle sue pagine, nessuna tensione ideale al bello scrivere, ma si assiste a una insolita (per l’epoca) crudezza espressiva, per cui ad esempio si parla di sesso con una scioccante franchezza.

La mera cronaca dei fatti rende il ritratto della vita della provincia americana in Appuntamento a Samarra tremendamente spietato: viene fuori una piccola borghesia gretta, meschina, chiusa nelle proprie tradizioni e poca disposta ad accettare l’anticonformismo o una visione diversa dell’esistenza: a Gibbsville “un party è una cosa talmente importante da assumere l’aspetto di un vero affare di stato”. Contano i soldi e le apparenze, bisogna rispettare le regole e non sgarrare, mai tradire il gruppo a cui si appartiene, mai cercare di uscirne e soprattutto non alterarne gli equilibri. Tutti assistono all’autodistruzione di Julian e nessuno muove un dito, dentro di loro probabilmente pensano che se la sia cercata e che la sua morte possa essere l’unica soluzione accettabile perché le cose tornino com’erano prima.

E O’Hara conosceva bene quell’universo: Ernest Hemingway – che pure non gli risparmiò critiche e frecciate per la sua arroganza (e non a torto probabilmente, se pensiamo che la sua biografia curata da Geoffrey Wolff s’intitola The Art of Burning Bridges, ossia “L’arte di bruciarsi i ponti alle spalle”)  – scrisse del romanzo, “se volete leggere un libro scritto da un autore che sa esattamente di cosa sta parlando e ne parla meravigliosamente bene, leggete Appuntamento a Samarra”.

Gibbsville infatti è in realtà Pottsville, la città in cui è nato lo scrittore e Julian è un po’ il suo alter ego (come lo sarà successivamente Jim Malloy protagonista di parecchi suoi racconti e romanzi in cui scappa dalla provincia asfittica per cercare fama e successo nelle metropoli).

Accanto alla denuncia delle aberrazioni sociali della vita in provincia, che palesemente O’Hara considera come un’anticamera della morte, il romanzo è anche una lunga riflessione sull’alcool come unico rimedio alla solitudine e ai problemi esistenziali e sugli effetti della dipendenza psicologica. Per questo O’Hara è considerato uno dei maggiori esponenti dell’Hangover generation, di quella corrente letteraria americana che nei suoi romanzi parlava del malessere tipico di chi ha appena superato una sbornia, scegliendo come protagonisti uomini pieni di whisky dediti all’autodistruzione e al fallimento.

Questa tendenza è perfettamente rappresentata in un’altra opera importante di O’Hara, Prediche e acqua minerale, il cui titolo deriva da due versi di una poesia di George Lord Byron: “Si abbiano vino e donne, riso e giubilo / Prediche e acqua minerale l’indomani”.

Ma in Prediche e acqua minerale forse O’Hara era più ottimista di quanto lo fosse al tempo di Appuntamento a Samarra e non concede a Julian nessuna predica, né acqua e tanto meno un domani: solo un appuntamento con il destino a cui non può mancare.

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